Pierpaolo. 41 anni. Sulle prime non ricordi cosa ti abbia indotta a concedergli un like. A giudicare dalle fotografie non è particolarmente attraente, e non ha indicato alcun interesse specifico. Inoltre, noti con orrore che la sua biografia è costituita da una scarna frase in inglese, il che va contro i tuoi principi. Mentre ti domandi se questo misunderstanding sia da imputare allo stesso bicchiere di vino che ti ha ridotta in mutande e cappotto, ti imbatti nel dettaglio che svela l’arcano: sotto la frase in inglese, Pierpaolo scrive 195×90.
Ti sembra di rivederti, in preda ad uno sfoglio di profili compulsivo, frenare bruscamente su quella magica combinazione di centimetri per chili che deve aver acceso le tue fantasie più sfrenate. La prolungata astinenza da contatto fisico, giorno dopo giorno (settimana dopo settimana!), ha instillato in te una vera e propria ossessione per la stazza del tuo potenziale partner. A tratti, la tua ricerca somiglia più che altro al casting per l’attore protagonista di un biopic su André The Giant. Sei a caccia di un maschio che ti sovrasti, ti avvolga e ti soffochi.
Non puoi escludere che questa fissazione sia solo l’ennesimo tentativo di rivalsa rispetto ad alcune delle gravi privazioni che hai subito durante l’infanzia, e che ti hanno irrimediabilmente danneggiata. Nel caso specifico, intravedi chiaramente un nesso con la brutale soppressione di quello struggente desiderio che ti era preso, in seconda elementare, di possedere un Pisolone. Quell’incrocio tra un enorme peluche e un sacco a pelo aveva solleticato le tue voglie fin dal primo spot andato in onda durante BIM, BUM, BAM. Già pregustavi il tepore di quel pelo sintetico sulla pelle, e il piacere di sentirti contenuta nell’abbraccio delle sue soffici zampe. Purtroppo quel deliquio ti era stato negato da tua madre, terrorizzata che tu morissi asfissiata durante la notte. Ah, se solo la tapina avesse previsto che, molti anni dopo, questo rifiuto ti avrebbe costretta a scandagliare la rete alla ricerca di un surrogato con cui sublimare quella mancanza! Che dire poi di ciò che aveva comportato la sua fiera opposizione al Crystal Ball, per paura che tu, portata la cannula alle labbra, succhiassi anziché soffiare? Se sapesse che, a distanza di anni, più di un maschio avrebbe avuto le sue buone ragioni per ringraziarla di questa premura.
195×90, si diceva. Anche se dalle fotografie non ti è possibile sbirciare le mani di Pierpaolo, le proporzioni hanno la loro importanza e, riflettendo sulla combinazione di quei fattori, la cui inversione darebbe come risultato il toro meccanico della sala giochi di Milano Marittima che tante emozioni ti ha regalato in giovane età, ti rifiuti di prendere in considerazione l’eventualità che, di quei novanta chili di carne, la porzione imbustata nelle mutande si riduca ad un Salamino Beretta.
– Ciao – scrive Pierpaolo.
We won’t get fooled again.
– Ciao
– Vivi a Bologna?
– Sì, e tu?
– Anch’io ma sono di Milano
Cerchi invano di ricordare come proseguivano le conversazioni, nel Mondo Di Prima, ma al momento riesci a pensare soltanto al toro meccanico.
– Vorrei conoscerti
Pierpaolo non perde tempo. Con la fortuna che ti ritrovi, sarà un malato terminale.
– Ci spostiamo su Whatsapp? – continua.
Malato terminale con prognosi infausta. Ciò significa che nessuno dei due ha niente da perdere. Mentre gli scrivi il numero di cellulare, nella tua mente balenano fugaci immagini di distese di scarpe rosse, volti di vip con segni di rossetto sugli zigomi e hashtag che inneggiano al 25 novembre.
– Ciao
Oddio, di nuovo?
– Ciao
– Ti piace sciare?
Oltre ad affliggerti con un’opprimente sensazione di déjà-vu, la domanda ti pare oziosa, dal momento che gli impianti sono chiusi. E in ogni caso, ad un invito sulla neve risponderesti con un deciso diniego: basta il pensiero della montagna a causarti paralizzanti attacchi di panico. Fin dai primi tornanti accusi una terribile fame d’aria, e la visione dei vasi di gerani alle finestre di quelle casupole in legno ti suggerisce fantasiosi pensieri di morte. Quanto allo sci in senso stretto, la tua ultima esperienza risale al 1993: Cortina d’Ampezzo, campetto di Pocol, pista baby, pendenza del 3%. Un aitante maestro di nome Tiziano preleva te e tua sorella, infagottate in tute degne della zia ricca del Ragionier Filini, mentre tua madre, scossa da convulsi singhiozzi, tracanna Ansiolin come fosse Ferrarelle. La disgraziata trascorrerà l’ora successiva a scrutare il cielo come un àugure dell’antica Roma, divinando il futuro nel volo delle eliambulanze da e per l’Ospedale Codivilla Putti. Tu invece trascorrerai i ventisette anni successivi convivendo con l’incrollabile convinzione che il prezzo della nostra felicità sia sempre l’assuefazione agli ansiolitici di qualcun altro.
Montagna o no, decidi di stare sul vago: non sei pronta a rinunciare a quel 195×90 senza combattere.
– In effetti non scio da un po’
– Cosa fai nella vita?
Avresti preferito continuare a parlare di sci. Memore dello sfacelo di un solo punto esclamativo, puoi a stento immaginare cosa comporterebbe confessare ad uno sconosciuto che, a trentacinque anni, non hai la benché minima idea di cosa tu stia facendo.
Prendi tempo e rispondi:
– Varie cose.
– Sei su Instagram?
Se non altro, questo Pierpaolo è una persona discreta.
– Sì, camillagalli1911. Tu?
– pierpa195.90
Evidentemente, a dispetto del boom di vendite del Pisolone nei primissimi anni ’90, non sei la sola sulla quale quelle misure esercitano un certo appeal, e Pierpaolo deve averlo scoperto.
Entrambi vi prendete qualche minuto per studiare i rispettivi profili Instagram. Scopri così che Pierpaolo ha una laurea e un dottorato alla Bocconi, è docente di un master in economia aziendale e fondatore di un grosso studio di commercialisti che porta il suo nome &Associati. A quanto pare, tu e la tua laurea in Lettere non rischiate di finire schiacciate soltanto dai suoi novanta chili.
– Tra mezzora ti chiamo. Ora vado a bere.
Difficile dire cosa ti turbi di più: se la prospettiva di ricevere una telefonata da uno sconosciuto, il modo rozzo e assertivo con il quale ti è stato comunicato che accadrà, o il fatto che il soggetto in questione attacchi a bere alle cinque e mezza del pomeriggio. Va detto che le chiusure anticipate e il coprifuoco alle dieci impongono agli alcolisti orari da autori di romanzi Iperborea.
Alle sei in punto, squilla il cellulare. Pierpaolo ti sta chiamando su Whatsapp.
Rispondi con un Pronto che ti sforzi di far uscire in tono del tutto incolore: meglio evitare punti esclamativi anche alla prova orale.
– Ué, allora?! Com’è?!?!?
Un verso e tre parole, e già Pierpaolo ti sta sul cazzo. Risultato notevole, sebbene il tuo record del punto esclamativo rimanga imbattuto. Irrimediabilmente caricaturale, qualsiasi accento lombardo ti ispira un’istintiva antipatia, ma quello milanese in particolare ha su di te l’effetto di un’inessenziale unghiata sulla lavagna. Così come la cadenza bergamasca evoca immediatamente scene bucoliche di occultamento di cadavere in capannone abusivo, mani nodose e capillari rotti a causa dell’abuso di grappa, il milanese è la lingua delle performance dopate dalla cocaina, della cafonaggine del parvenu, dell’intrallazzo squalistico. Nel chiedere Com’è? invece che Come stai? è come se il milanese, facendo le mosse di salutarti con un bacio sulla guancia, ti staccasse a morsi il lobo dell’orecchio. E poi, come si risponde a un milanese che ti chiede Com’è?
– Ué, grande!
– Ué, ma sei mica di Milano? – domanda Pierpaolo, sorpreso ed emozionato come un italiano all’estero che, per strada, riconosce un connazionale dal rutto.
– No, sono di Bologna – rispondi, gustando la tua piccola vittoria.
– Ah, figa, per un attimo… Senti, ma cos’è che volevo dire, ah sì, in che zona vivi di Bologna. (rigorosamente punto fermo, non interrogativo)
Quando, attraverso indicazioni prudentemente nebulose, nomini il tuo quartiere, Pierpaolo inizia ad elencare con grande compiacimento locali che tu non hai mai sentito. In fin dei conti, non importa se in valigia ha la ‘nduja o l’osso buco: un fuorisede è sempre un fuorisede. Giunto il tuo turno, citi l’ultimo ristorante in cui hai mangiato, mesi fa, e Pierpaolo commenta:
– Ué, complimenti, figa, in quel posto si mangia veramente di merda! – e scoppia a ridere soddisfatto.
Non sei mai stata un tipo permaloso, ma rimani interdetta.
– Vabé, dai, peccato che di mangiare non capisci un cazzo, perché saremmo potuti andare d’accordo. Senti una roba. Come si dice, ah sì, da quant’è che ti sei mollata, te?
Se non altro, trai la conclusione che l’evoluzione del tuo profilo Instagram dalle fotografie di copertine di libri a quelle in mutande e cappotto assolva la duplice funzione di riassunto dei precedenti episodi e dichiarazione d’intenti.
– Da maggio.
– Figa! Tra l’altro, posso dire? lui, anche una discreta faccia da cazzo.
Ok, forse il problema non è l’accento.
– Senti un’altra roba. Vibratori ne hai?
Provi una struggente nostalgia per le domande sullo sci.
– Veramente no.
– Figa, non hai un vibratore? – Pierpaolo è sconcertato. Mai quanto te, comunque. A differenza tua, però, sembra determinato a porre subito rimedio a questa condotta di vita barbara, primitiva e così poco milanese.
– Ué, adesso ti mando il link del top di gamma. Come si dice, ah sì, te sei vaginale o clitoridea?
Ti chiedi se la tanatosi sia una tattica efficace solo nel regno animale, o se possa funzionare anche tra esseri umani: ti sembra che l’unico modo di sfuggire a Pierpaolo sia fingerti morta. A parte riattaccare, ovviamente. Cosa che però, per qualche curiosa ragione, sembra essere al di là delle tue possibilità.
– Beh, io…
In meno di un secondo uno scampanellio sommesso ti avvisa che hai ricevuto un messaggio. Non hai idea di come si possa visualizzare la chat senza far cadere la linea, e, soprattutto, non hai idea del motivo per cui questo dovrebbe importarti, ma ti dà la misura del fatto che, con una tale avversione a qualsiasi tipo di tecnologia, ritrovarti tra le mani un vibratore acceso ti esporrebbe ad un altissimo rischio d’incidente domestico. Quando, premendo un tasto a caso, riesci ad accedere ai messaggi in arrivo, trovi il link ad un sito che vende sex toys, presumibilmente pescato dalla cima della cronologia di Pierpaolo, data la rapidità con la quale l’ha inoltrato.
– Ah, ecco…
– Allora?! Ci trattiamo bene o no, testina?
L’oggetto che stai guardando costa il quadruplo del migliore spazzolino elettrico in commercio, e per ammortizzare quella cifra dovresti utilizzarlo ben più di due volte al giorno. Noti che le batterie sono incluse: autorevoli ricerche di mercato devono aver dimostrato che l’isteria di un bambino davanti ad una macchinina telecomandata inutilizzabile la mattina di Natale sia nulla in confronto a quella di una donna colta dal bisogno urgente di masturbarsi. Il che giustificherebbe anche i venticinque euro di spese per la spedizione prioritaria entro ventiquattro ore. Non ti stupiresti se ti venisse consegnato in un contenitore pieno di ghiaccio da sanitari del 118 lanciatisi da un’automedica in corsa.
– Va’ che con questo gioiellino qui non ti lamenti più, cocca.
Raggiunta da lontane reminiscenze di un corso di Programmazione Neurolinguistica, decidi di sintonizzarti sulle frequenze del tuo interlocutore.
– Considerato che non scopo da maggio, dovrei prima farmi un bidet con l’antiruggine. Figa!
Pausa. Silenzio.
– Ué, però, figa, non ti puoi approcciare al maschio in questo modo, eh.
Pierpaolo, a quanto pare, non è un tipo sportivo. Meglio fare marcia indietro.
– E poi comunque non riesco a farmi un’idea delle dimensioni – dici.
– Ah, ma per quello no problem: figa, ne ho uno qui.
Non fai in tempo a chiederti cosa ci faccia Pierpaolo con un vibratore in mano alle sei di pomeriggio, che il cellulare prende a ronzarti nell’orecchio: lo scosti dal viso e scopri con orrore che stai ricevendo la richiesta di attivare la videocamera.
– Ué, ti sto aspettando, figa. Dai che l’ho già acceso.
Trattenendo il respiro schiacci freneticamente tutti i tasti che ti capitano sotto le dita finché non riesci a riattaccare, poi, per maggior sicurezza, ficchi il telefono sotto al cuscino del divano e corri a nasconderti in cucina.
Tendi l’orecchio: nulla. E se richiama? E se ti avesse geolocalizzata? Cosa starà facendo? Ma soprattutto: cosa stai facendo tu? Perché hai scaricato Tinder? Perché hai dedicato un numero di ore a dir poco imbarazzante a sfogliare profili di sconosciuti, selezionandoli o scartandoli sulla base ingannevole di una manciata di foto e biografie fasulle, accettando che loro facessero lo stesso con te? Perché hai deciso d’inseguire l’illusione dell’Amore, abdicando ad una ben più dignitosa e riposante solitudine? Sarebbe forse intellettualmente disonesto attribuire questa tua avventatezza al palinsesto televisivo delle reti Mediaset già Fininvest del ventennio 1985- 2005? È forse a causa di quel fil rouge che, dall’Agenzia matrimoniale di Marta Flavi, passando per Il gioco delle coppie, giunse fino al rigurgito giovanilistico di Colpo di fulmine, che tu oggi ti affanni su internet alla spasmodica ricerca di un partner, fosse anche solo per una sera? Come si sente la radical chic che è in te al pensiero che Yorgos Lanthimos non abbia inventato nulla che Berlusconi non avesse già pensato trent’anni prima?
Ancora ansimante, non ti resta che concludere con amarezza che se, quella è l’unica via rimasta, non scoperai mai più.