– Ciao, Ansia.
– Ciao, Camilla. Ti vedo turbata.
– Se mi vedi vuol dire che sei qui, cara Ansia, quindi è ovvio che sono turbata.
– D’accordo, è domenica. Ma sono solo le undici del mattino. Mancano ancora settecentottanta minuti al momento di andare a dormire, e chi li conta?
– Già, chi li conta?
– E poi, sei appena uscita da messa: scambiatevi un segno di pace, porgi l’altra guancia, lo chiamavano Trinità, tutto come  al solito, no?
– Sì, da circa duemila anni, Concilio più, Concilio meno.
– Ah, il caro, vecchio oppio dei popoli.
– Ehi, Ansia: credevo che tu detestassi oppio e derivati.
– Questo finché non si è parlato di Giudizio Universale, di cammelli e crune di aghi e tutto il resto. Lì ho avuto la mia rivincita: erano tutti terrorizzati. Comunque, andare in chiesa di solito ti rilassa giusto? Passi un’ora a pensare ai fatti tuoi.
– Certo! Però questa mattina ero al matrimonio di Anna e Giovanni, e tu lo sai che i matrimoni mi gettano nel panico.
– Ok, diciamo che la chiesa ti rilassa quasi sempre.
– Ma dico, l’hai vista?
– Parli della madre di quelle due belve indemoniate nella panca in fondo a sinistra? Certo che l’ho vista.
– Le belve indemoniate per la precisione erano tre. La terza era in braccio al padre di fianco all’acquasantiera. E Dio solo sa se l’intento era l’annegamento o un esorcismo.
–  E allora, cosa c’è che non va?
– Vedi, cara Ansia, non lo so con precisione, ma in un angolino della mia mente sento che la cosa in qualche modo mi riguarda. Come la mattanza dei tonni o il ritorno del marsupio.
– Fammi capire: non lavori su una tonnara, ma ti disturba il pensiero che qualcuno lo faccia e comunque non vorresti stare a guardare quello scempio per più di cinque minuti.
– Esatto!
– Ti chiedi con che forza si possa condurre un’esistenza del genere, tra fatica e privazioni, rinunciando alle proprie aspirazioni, ai propri desideri, a orari decenti, a una vita comoda…
– Aspetta, ora stiamo parlando della mattanza dei tonni o del fare figli?
– Tu ci vedi qualche rilevante differenza?
– C’è chi dice che da quando ha dei figli è meno inquieta, e ogni tanto penso che potrebbe succedere anche a me, che magari fare qualcosa di così grandioso possa darmi pace per il solo fatto di eclissare tutto il resto. Ma certe cose vanno fatte d’istinto. Com’è che dicono tutti? Se ci pensi troppo, non li fai.
– Si potrebbe dire la stessa cosa del buttarsi dal quinto piano, o di farsi un tatuaggio in faccia: se ci pensi troppo, non lo fai. Non ti viene il dubbio che se per fare una cosa devi mettere a tacere del tutto la razionalità, quella cosa sia una gigantesca cazzata? La Cazzata con la C maiuscola. La Cazzata da cui derivano innumerevoli altre cazzate. La Ur-Cazzata. La Cazzata Suicida. La Cazzata – Ergastolo. La Cazzata Vampira, quella che ti succhia via l’anima. La Cazzata – Sequestro di persona.
– Sono piuttosto confusa al riguardo, ultimamente. Certo, una chiesa non è un luogo adatto per tre bambini ipercinetici affetti da deficit d’attenzione.
– In una parola, bambini stronzi.
– Brava, prova a dire una frase del genere al cospetto di un branco di genitori e persino Re Erode redivivo ti guarderà con sdegno e disapprovazione. Non lo sapevi? I bambini stronzi, per definizione, non esistono. Ci sono bambini vivaci, bambini creativi, bambini svegli, bambini con una forte personalità. Ma bambini stronzi, no. Quello del bambino stronzo è l’ultimo tabù della civiltà occidentale.
– Ricordati che dietro ogni bambino stronzo c’è sempre una coppia di genitori smidollati.
– Forse per questo non si può dare dello stronzo a un bambino: implicitamente stai dando dei coglioni ai suoi genitori.
– Sì, può essere. Per quanto, in effetti, quando dai dello stronzo ad un bambino, capita che ad indignarsi siano anche persone che di figli non ne hanno.
– Probabilmente perché sanno che il bambino stronzo di oggi potrebbe comunque diventare il cardiochirurgo che li salverà domani. Non sono indignati: hanno solo paura di tirare le cuoia.
– O forse non sono genitori di un bambino stronzo, ma nonni o zii di un bambino stronzo.
– Ah! Questi poi sono i peggiori, perché difendono una categoria che attenta alla loro pace interiore solo qualche ora la settimana. Ipocriti. E comunque, cara Ansia, noi, da piccoli, non eravamo così stronzi. Possibile che i genitori non se ne rendano conto?
– Non che non mi interessino le dissertazioni sociologiche, ma non capisco cosa c’entro io.
– Tu, Ansia, hai iniziato ad avere un ruolo in questa storia nel momento esatto in cui ho sentito quella madre ringhiare al figlio di mezzo, dai, quello che sfoggiava un ghigno da delinquente da manuale di antropologia criminale. La disgraziata aveva gli occhi iniettati di sangue. Era letteralmente fuori di sé.
– E chi non lo sarebbe, in quelle condizioni? Voglio dire, mettiti per un istante nei suoi panni. È domenica: hai sgobbato come un mulo in ufficio tutta la settimana, mandando giù la tua parte di frustrazioni e arrabbiature; sono anni che dormi poco e male e sei di un umore talmente pessimo che la depressione post partum in confronto era il carnevale di Rio; ogni volta che tenti di mettere a frutto l’unica ora libera che hai correndo come una forsennata su un tapis roulant faccia al muro per tentare di perdere l’aspetto da Barbapapà che ti accompagna dall’ultima gravidanza dopo esserti allacciata dietro le spalle quelle due orecchie da cocker che sono le tue tette da quando hai finito di allattare, vieni bersagliata dal fuoco di fila delle notifiche della chat delle mamme del catechismo, della chat delle mamme del calcio, della chat delle mamme del basket, della chat delle mamme di atletica, della chat delle mamme del nuoto (e stai seriamente pensando di far conoscere ai tuoi figli il mondo del triathlon, in modo da poter almeno raggruppare le chat tre a tre); tutte le sere, dopo cena, hai aiutato il più grande a fare i compiti, chiedendoti se il disturbo cognitivo che gli impedisce di svolgere le addizioni a due cifre non si potesse proprio diagnosticare con l’amniocentesi; dopo aver caricato la quarta lavatrice della giornata sperando di eliminare gli arabeschi di rigurgito che decorano le tue camicette da sette anni, in imperdonabile ritardo sul periodo grunge, hai tenuto testa agli agguati del pene di tuo marito, che da tempo consideri il principale responsabile della tua disfatta sul piano fisico ed emotivo, mentre ti maledici per non aver approfittato anni fa di quell’offerta sulle isterectomie che avevi visto su Groupon; probabilmente ieri sera, sabato, hai dovuto accompagnare i tuoi bambini con i loro amichetti al cinema a vedere la versione restaurata di Bambi, e mentre il più grande espettorava lumache dai bronchi direttamente nella tua mano ed eseguivi sul più piccolo una perfetta manovra di Heimlich per fargli sputare l’orsetto gommoso che lo stava soffocando, non sei riuscita a trattenerti dallo scoppiare in lacrime quando hanno sparato a mamma cerbiatta: non per la commozione ma per l’invidia; e oggi, dopo la Santa messa, ti toccherà pure andare a pranzo dai tuoi suoceri, evento mondano al quale preferiresti di gran lunga una settimana, trattamento full e pensione completa, ad Abu Ghraib.
– Grazie, direi che quadro è piuttosto chiaro.
– Sembra anche a me. Quindi. Vogliamo controllare che qualche mail di Groupon non sia finita per sbaglio nello spam?

– Oggi mi sento particolarmente in forma!
– Ci credo: è domenica.
– Il mio giorno preferito. Adoro la domenica. Specialmente il tardo pomeriggio, quando si allungano le ombre delle preoccupazioni per la settimana in arrivo.
– Sembra alquanto invitante…
– Secondo te perché la domenica è il giorno del Signore? Perché è dai tempi dell’Antico Testamento che le più grosse rogne saltano fuori di lunedì, quindi c’è bisogno di una preghiera extra per sperare di uscirne vivi.

– Ciao! Oggi voglio presentarti una mia amica.
– Da quando tu hai degli amici?
– Io ho un sacco di amici: tutti i social, ad esempio, con quel senso di inadeguatezza e di inferiorità che regalano certi profili Instagram. E hai dato un’occhiata su Facebook ultimamente? Un tripudio di paure immaginarie e notizie allarmanti costruite ad arte, e nessuno che si prenda la briga di verificarle. Per non parlare di Google…

– E così, anche quest’anno sta arrivando.
– Il Natale?
– Ma no: il picco influenzale!
– Stavo quasi per dimenticarmene.
– Sono qui per questo.
– Me ne sono accorta. Comunque quest’anno non ho davvero nulla da temere: ho deciso che farò il vaccino!
– Ancora meglio!
– Il tuo entusiasmo è piuttosto sospetto. Di cosa dovrei preoccuparmi, sentiamo.
– Del vaccino stesso, no?
– Non solo sei Ansia, ma pure no-vax?

– E quindi domani partiamo.
– Domani parto.
– Non crederai sul serio che io me ne stia a casa, vero?
– Per un attimo ci avevo sperato.
– La solita illusa: sono anni che viaggiamo insieme. Ho visto, sai, che sei passata in farmacia?
– Avevo finito gli assorbenti.
– C’è ancora qualcuno che li compra in farmacia?

– Ciao.
– Scusa ma adesso proprio non ho tempo per te.
– Lo so, per questo sono qui.
– Non cominciare, ho troppe cose da fare.
– Appunto.
– Appunto cosa?
– Tu non sei adatta a fare “troppe cose”.
– E chi lo dice?
– Lo dici tu. O meglio, lo pensi.