Hai appuntamento con Matteo. Il criterio sulla base del quale gli hai appioppato un like è l’unico che abbia senso tenere in considerazione su Tinder: l’aspetto fisico. Ti ci sono voluti mesi, ma alla fine l’hai capito. Fanculo alle bio in inglese e alle foto in motocicletta: le magagne di Matteo verranno fuori comunque, quindi tanto vale uscire con qualcuno che non ti susciti un brivido di repulsione, anche per sapere cosa si provi. Peschi quindi dal mazzo questo ragazzone della remota provincia, dal sorriso aperto e gli occhioni da cucciolo. Dieci anni meno di te. Un metro e novanta, ben piazzato, muscoloso, praticamente quello che appare su Google Immagini se cerchi “sana e robusta costituzione”. Matteo è un armadio quattro stagioni dell’Ikea. E proprio come un armadio quattro stagioni dell’Ikea, sembra lì per essere montato.

Propone di vedervi a pranzo: scelta insolita rispetto ad un canonico aperitivo o ad un’insidiosa cena. Tu trattieni a stento un moto di esultanza: calcoli che, se tutto va come deve, una volta sbrigata la pratica potrete passare a letto tutto il pomeriggio e magari anche di più. È gennaio e fuori c’è un tempo da lupi, ma decidi ugualmente di sfoggiare, sotto al cappotto, un abitino di seta e stivali senza calze. Non temi né le intemperie né le temperature rigide, poiché le tappe saranno: la sua auto, il ristorante, di nuovo l’auto, e in fine la tua camera. Matteo viene a prenderti sotto casa e vi avviate. Al freddo e bersagliati da una pioggerella ghiacciata e insistente. Dopo un po’ che arranchi, gli chiedi se la macchina sia ancora lontana, e lui candidamente risponde che è senz’altro meglio andare a piedi per non rischiare di avere problemi con il parcheggio. E a quel punto ti ricordi che i ragazzoni della remota provincia dal sorriso aperto e gli occhioni da cucciolo affrontano il problema della viabilità cittadina con la stessa disinvoltura con la quale tu ti approcci a una raccomandata dell’Agenzia delle Entrate. Stringi i denti e affronti quella marcia da cosacco, cercando di rimanere focalizzata sull’obiettivo: scopare.

Il pranzo al ristorante e le ore successive a casa tua sono una prova di resistenza: a venire testata è la tua ostinazione ad accoppiarti. Sei talmente determinata a conquistare l’agognato montepremi che ti sorbisci senza battere ciglio un panegirico su Valentino Rossi, quattro album di fotografie dell’ultima gara di sollevamento pesi, un’agiografia di sua madre, tutte le sue ultime performance in palestra registrate e memorizzate con un’apposita app e la ricetta segreta di proteine e anabolizzanti che costituisce la sua colazione da otto mesi a questa parte. Ciononostante tu non molli: ti senti ormai a un passo dalla meta. Quando attacca a magnificare la bonifica dell’Agro Pontino, però, ti dici che a tutto c’è un limite e gli ficchi la lingua in gola. Sei talmente esasperata da quell’interminabile attesa che non lo baci: praticamente lo inghiotti intero, neanche fossi un pitone.

Nel 1982 a Lawrenceville, in Georgia, una donna di nome Angela Cavallo riuscì con le sue sole forze a sollevare una Chevy Impala per salvare la vita al figlio Tony, accidentalmente rimasto schiacciato sotto l’auto mentre stava riparando le sospensioni. Autorevoli studi hanno dimostrato che in condizioni di estremo pericolo un essere umano possa attingere ad una forza sovrumana, ed è esattamente ciò che accade a te, quando abbranchi quel quarto di bue e lo trascini di peso in camera da letto. Lui non oppone resistenza, anche se non riesci a leggere l’espressione del suo viso dal momento che gli stai quasi masticando la faccia.

Mentre palpi tutta quella carne fresca in preda alla frenesia, ti resta appena la lucidità sufficiente per formulare pensieri ottimisti al limite dello spericolato su quello su cui stai per mettere le mani. Trattandosi di un esemplare da un quintale, sei certa che Madre Natura con il suo amore per le proporzioni sia dalla tua parte, e con una ritrovata fiducia nell’Universo gli abbassi la cerniera dei pantaloni e gli infili una mano nelle mutande, più che pronta alla pesca miracolosa. E invece è come frugare nelle tasche alla ricerca delle chiavi di casa, dopo che ti sei già tirata dietro la porta, scoprendole vuote: il tuo cuore salta un battito e ti si gela il sangue nelle vene. Cerchi meglio. Niente. Eppure, stando a vaghi e nebulosi ricordi e a qualche episodio di Siamo fatti così, avresti giurato che un palmo sotto l’ombelico dovesse esserci il pene. Aspetta, ti sembra di sentire qualcosa. Dagli slip di Dragonball peschi un’appendice molliccia che ti ricorda molto quelle fette di prosciutto arrotolate attorno ai grissini di certi squallidi buffet. Ma qui non c’è nemmeno il grissino. Sembra che il cazzo di Matteo abbia subito una muta e sia migrato altrove, lasciando dietro di sé soltanto uno straccetto di pelle grinzosa, flaccida e disabitata.

Altro che occhioni da cucciolo. Qui l’unico cucciolo che ti viene in mente è quello della Carica dei 101 nato morto. Tu, come Rudy, non ti arrendi e lo sfreghi vigorosamente per farlo rinvenire, ma purtroppo ogni tentativo è vano. Passi quindi allo step successivo della rianimazione, come da diploma all’Università di Baywatch. Ne fai un sol boccone, ma quanto a dimensioni e consistenza dell’articolo, è come cercare di succhiare un’ostrica, ti vengono risparmiati soltanto il retrogusto di scoglio e un’epatite alimentare. L’inafferrabile mollusco sguscia via da tutte le parti e, per quanto impegno tu ci metta, il paziente non dà segni di vita: l’unica cosa che riesce ad alzare è bandiera bianca. Sei talmente delusa e incazzata che glielo strapperesti a morsi, ma purtroppo in dispensa non hai nemmeno un grissino.